Tre giorni d'anarchia
"Tre giorni d'anarchia è la storia di una piccola utopia, che prende spunto da fatti realmente accaduti e da personaggi veramente esistiti (anche se sublimati in una sorta di "fiaba"), e affonda nella memoria e nelle radici dell'Italia. Il film racconta, infatti, attraverso gli occhi di un giovane, la storia di un paesino siciliano nei tre giorni che separano lo sbarco americano nel luglio '43 dall'ingresso dei 'liberatori'. In questi tre giorni, il borgo vive un irripetibile momento di felicità, di libertà, di fantasia. Non ci sono più i fascisti e non ci sono ancora gli americani, e in questo vuoto di potere, in questo interregno, c'è tutto lo spazio per un "anarchia" nel senso più positivo del termine: nel senso di una liberazione del paese ma anche delle cose e delle persone, di un territorio tutto da costruire, che lascia spazio all'immaginazione, alla liberazione individuale e collettiva, persino (finita la repressione) alla libertà sessuale".
Questa, nelle parole di Vito Zagarrio, regista, tra l'altro, della commedia "Bonus malus" (1993), è la trama della sua ultima fatica, per la realizzazione della quale si è avvalso, tra gli altri, della collaborazione del tutt'altro che disprezzabile direttore della fotografia Pasquale Mari (responsabile delle luci degli ultimi lavori di Marco Bellocchio), e che definisce: "Un film "storico" ma non eccessivamente documentario, che può essere riletto come metafora dell'oggi, o di tutti i momenti del nostro passato prossimo in cui si è fatto un "sogno", in cui si è cavalcata un'utopia, si è immaginato un Paese diverso, diversi rapporti sociali e umani; vi si può leggere una metafora, anche delle guerre attuali (un chiaro rimando è all'Iraq del dopo Saddam)".
Una fatica che, senza rinunciare ad immagini di repertorio, ruota attorno alla figura di Giuseppe, interpretato da Enrico Lo Verso, laureatosi sotto i bombardamenti e tornato al paese natio per la meritata licenza premio. Un paese dove, crollati i simboli del fascismo, tra braccianti, estremisti e prudenti, il militante convinto Salvatore, con il volto di Gaetano Aronica, vorrebbe che Giuseppe si assumesse le sue responsabilità politiche, essendo laureato, colto ed intelligente. In questo clima di anarchia totale, quindi, veniamo a conoscenza dei suoi affetti più profondi, da un lato rappresentati dal vecchio padre malato don Mimì, antifascista della prima ora con le fattezze di Luigi Maria Burruano, dall'altro dalle due donne che ama: Pina, maestrina tacitamente a lui promessa, e Anna, aristocratica sessualmente liberata, cui concedono rispettivamente (molta) anima e (soprattutto) corpo Tiziana Lodato e Marica Cocco.
E, mentre ci rendiamo conto del fatto che l'immagine di Giuseppe che amoreggia su dorate distese di grano con una delle due donne richiama non poco alla memoria quella di Raoul Bova e Monica Guerritore in "La lupa" (1996) di Gabriele Lavia, emergono anche personaggi interessanti, come il tizio fissato con la figura degli americani e, soprattutto, il dottore fascista Puglisi, incarnato da un insolito Nino Frassica dai toni altamente drammatici. Ma si tratta della sorpresa più grande di un lungometraggio che, pur rientrando nella media per quanto riguarda la recitazione e riuscendo a comunicare, tra l'altro, che la politica risiede tra il potere e la violenza, non sfugge alla letale morsa della noia, a causa soprattutto del look che lo rende più vicino ad una fiction televisiva in costume che ad un prodotto destinato al grande schermo, ulteriormente penalizzato dalla troppa carne al fuoco presente, comprendente, tra l'altro, un grottesco momento pseudo-onirico con cowboy a cavallo ed un tutt'altro che indispensabile flashback con Madonna combattiva.

La frase: "Se scegli le persone giuste, arriverai dove vuoi"

Francesco Lomuscio

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