L’Exil et le royaume
E’ stato presentato nella sezione "Orizzonti" della 65esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica il documentario "L’Exil et le Royaume" scritto e diretto da Andreï Schtakleff e Jonathan Le Fourn.
Dopo aver vinto il premio per la migliore sceneggiatura al Festival di Amiens i due artisti si sono dedicati a questo lungo documentario (circa 127 minuti), il cui titolo si ispira all’omonima raccolta di racconti del romanziere, filosofo, drammaturgo francese e premio Nobel per la letteratura nel 1957 Albert Camus (Mondovi 1913 – Villeblevin 1960). La pellicola descrive la situazione dei rifugiati politici in Francia, persone che hanno lasciato la loro patria alla ricerca di un futuro migliore nel tentativo di attraversare la Manica e arrivare nella tanto agognata Inghilterra. E’ un tema che sembra interessare e colpire molto i due autori che cercano attraverso la pellicola di denunciare la situazione dei sans-papier. Il presidente Sarkozy, che si è sempre definito a favore dei più deboli, ha ordinato lo smantellamento dell’enorme campo di rifugiati di Sangatte, una zona vicino all’antica Calais. Una città a nord della Francia che si affaccia sul mare e che è diventata negli ultimi anni il punto di ritrovo degli immigrati verso la nuova Eldorado: l’Inghilterra. Tutti sono uniti dalla speranza di trovare lavoro in questa nazione, forse più ospitale della Francia che abbandona perfino i suoi figli che hanno appena lasciato la legione straniera. L’ufficio che forniva i tanto sospirati permessi di soggiorno è stato chiuso e non resta altro a questa gente e alle loro famiglie che tentare il tutto per tutto verso l’isola. Le condizioni di vita sono un affronto ai diritti umani, non hanno un tetto sotto cui dormire se non quello delle stelle, non hanno acqua né cibo, tutto ciò che hanno gli viene da pochi volontari. Più passa il tempo più queste povere persone diventano schive, taciturne e violente, ma come non diventarlo vivendo in quelle condizioni? Bevono e danno fastidio, ma l’alcool è forse l’unico modo per dimenticare, tuttavia anche loro devono farsi carico delle proprie responsabilità nei confronti magari di una moglie gravida o altro. Il governo ha smantellato il campo, ma non ha creato altre strutture o trovato altre soluzioni e questo produce un sorriso amaro sulle labbra di qualche rifugiato: possibile che la Francia non riesca a trovare il modo di risolvere il problema? L’Olanda e la Spagna sono più piccole eppure sono riuscite a risolverlo o almeno non lasciano che questa gente viva in questo modo... forse l’unico paese dove si sta peggio è l’Italia. I giorni si susseguono nell’attesa di trovare il modo per varcare la frontiera e raggiungere il "paradiso" inglese, ma non sempre gli espedienti escogitati hanno successo, come racconta il custode del cimitero. Alcuni muoiono in incidenti sotto al tunnel della Manica, altri scompaiono e nessuno sa chi siano e dopo mesi ecco che finalmente l’ufficio comunale riesce a dare un nome ai corpi ritrovati. L’opera procede per salti passando da un personaggio all’altro, senza un vero protagonista, senza un filo che la amalgami e la renda unita. Il documentario sembra composto da frammenti differenti, una volta la telecamera insegue una giovane donna che tenta di infastidire la polizia dando il tempo ai rifugiati di scappare, altre volte intervista un anziano ferroviere, fino a seguire un quarantenne disoccupato con dei baffoni lunghi, che ospita in casa alcune donne o famiglie di rifugiati. Tutti e tre uniti dal desiderio di aiutarli a raggiungere la terra tanto sognata nel tentativo di riappropriarsi della propria dignità.

La frase: "Vedete questi poveracci pensano che a 30 km ci sia Eldorado".

Federica Di Bartolo

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