Barbarossa
E’ dagli anni di Mister Wolf e "Pulp fiction" che al cinema non emergeva un personaggio cult come quello che ci regala Renzo Martinelli con Siniscalco Barozzi. Nobile milanese ricordato nella storia per avere tradito i suoi concittadini aiutando l’invasore Federico Barbarossa a distruggere il capoluogo lombardo nel 1162, questo personaggio è il vero punto di forza dell’eponima pellicola "Barbarossa". E’ lui il chiavistello di quell’autoironia con cui Martinelli alleggerisce i suoi centoquaranta minuti sulla composizione della Lega lombarda da parte dell’eroe Alberto da Giussano, ovvero quando vari comuni, fino ad allora indipendenti e spesso in conflitto spesso tra loro, si unirono per respingere il Sacro Romano impero germanico. Legnano 29 Maggio 1176. Quel giorno anche Siniscalco Barozzi morì, almeno secondo il film.
Partiamo da un personaggio minore per parlare di "Barbarossa" perché sono i dettagli a rendere questo film incredibile. Come in molti sapranno si tratta di un film voluto fortemente dalla Lega Nord (da Bossi in particolare), che ha fatto dell’evento storico qui trattato il punto di partenza per tutta la propria iconografia. Il carroccio, il giuramento di Pontida, Alberto da Giussano (la cui statua a Legnano è raffigurata nel simbolo del partito) e così via sono riferimenti che nascono tutti da questo episodio. Parlarne senza legarlo esplicitamente, in qualche modo, all’oggi era inevitabile visto che il film, costato 30 milioni di dollari, è stato coprodotto dalla Rai e ha avuto il contributo del Ministero per i beni e le attività culturali (e se non incasserà, cosa dirà stavolta Brunetta?). Ecco quindi che nell’epica, si inserisce la politica.
Abbiamo il classico "Roma ladrona" (buttato lì all’interno della frase: "Barbarossa... un oppressore tiranno, ridotto a simbolo di Roma ladrona"), "Libertà contro l’invasore e le tasse" e tante altre piccole frasi di apologia sul popolo lombardo, o di rabbia con chi se ne approfitta. L’impianto è quello di un film a tesi, fatto più per vedere su pellicola l’esaltazione di persone e fatti che per scavare dietro di essi, costruire un universo di significati e significanti che vadano al di là della semplice superficie, di ciò che è facilmente subito assimilabile da tutti. Chi ci vuol vedere la gloria e la forza li troverà, chi invece cercherà un’interpretazione di un momento cardine della storia d’Italia, si dovrà accontentare invece una storia romanzata e inverosimile in cui una donna ha visioni da Cassandra, le spade riflettono il fuoco e un castello bombardato notte e giorno, la mattina dopo è di nuovo completamente intatto.
Martinelli non è uno sprovveduto, sa gestire le scene di massa e riesce, talvolta a costruire sequenze quantomeno interessanti, ma il montaggio, e soprattutto la sceneggiatura e i suoi dialoghi, sono completamente sotto il livello di guardia. Al Siniscalco Barozzi di cui parlavamo nella premessa, viene continuamente ripetuto nome e cognome come in una parodia di Maccio Capatonda. Nel sorprendente finale, quando si scopre chi si nasconde dietro l’armatura di un soldato, quel "hanno bruciato un’altra", appare così assurdo da suscitare risate, così come il discorso introduttivo di Alberto prima di convincere la sua donna a farsi sposare. E vogliamo parlare di quel grido "Libertà!" di braveheartiana momoria? Tanti scivoloni che alla fine rendono "Barbarossa" un film di bassa, lega.

La frase: "Sire, Milano è la porta della Sicilia".

Andrea D'Addio

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